Valerio Ambiveri | Marta Lodola

 

 

 

la stanza degli abbracci

 

 

saluto

 

 

 

"Saluto", Berlino, 2017

"La stanza degli abbracci", Bergamo, 2021


Uno spazio intermedio, impalpabile ma vivo ci ha accompagnato in questi ultimi anni di ricerca. Ha rivelato la sua presenza in maniera sempre più prorompente e in maniera inconsapevole ci ha guidati verso la realtà in cui ci troviamo oggi. Quell’elemento aereo che ci separava e che si comprimeva ed estendeva a piacimento, è diventato forma concreta. La distanza oggi giorno è qualcosa a cui ognuno deve relazionarsi quotidianamente.


Come un cerchio che si chiude.

Un percorso iniziato nel 2017 con un saluto all’ex aeroporto di Tempelhof aveva previsto la lontananza, quasi come fosse una promessa di mantenere il contatto a distanza ma, con l’arrivo della pandemia, si è prolungata inaspettatamente. 


Nel gennaio 2020, un fugace incontro ha per un momento colmato la distanza ed è scaturita la video performance "+5-3", una riflessione sullo stare in contatto a cinque centimetri o paradossalmente a meno tre centimetri, quasi un bisogno di compenetrazione, ma, quasi come una nefasta premonizione, da allora la "distanza" ha assunto dei connotati non più solo metaforici, ma drammaticamente reali e "dis-umani". È ciò che abbiamo cercato di evidenziare nella performance live via web "Non-human distance", sulla distanza sociale e il surrogato comunicativo offerto dalla rete, in cui due realtà, echeggiando l'antica favola di Orfeo, non si possono mai realmente incontrare. 


Ora 2021, sulla scorta degli accadimenti di cronaca, abbiamo adottato un titolo pieno di pathos, derivato da ciò che alcuni centri per anziani hanno escogitato per far incontrare i parenti: le cosiddette "Stanze degli abbracci". 


Sotto la pista di atterraggio dell’aeroporto di Bergamo, che purtroppo fu uno dei maggior epicentri della pandemia in Italia, avvolti da un cellophane che quasi anticipa e anima il nostro contatto ci avviciniamo per un nuovo incontro, dopo quasi un anno e mezzo. 


Quasi un auspicio e un augurio di poter presto lasciare alle spalle questa esperienza traumatica e di poter aprire nuovi cicli. Un nuovo ciclo, all'insegna dell'urgenza di dedicarci a riflessioni ed esperienze in cui il rapporto con la natura deve ridisegnare paradigmi noti ed esauriti. Un’occasione per fare espandere questa distanza e annullarla nell’apertura delle nostre posizioni, nella nostra relazione con l’ambiente circostante e il nostro impegno civile nei confronti della comunità e il territorio in cui viviamo.